Su 8 miliardi di spesa annua solo lo 0,05% è coperto dallo Stato. Sono 5 milioni gli italiani che non possono permettersi le cure. L’iniziativa Andi: «Così premiamo chi fa prevenzione»
Di Paolo Russo
Arriva il fondo integrativo per non dover rinunciare al dentista.
I denti sono il nervo scoperto della nostra sanità pubblica. Perché su 8 miliardi di spesa annua dal dentista sostenuta dagli italiani, appena 85 milioni, lo 0,05% del totale è quella coperta dallo Stato. Che almeno sulla carta dovrebbe garantire, dietro pagamento di un ticket, emergenze come ascessi, fratture dentali o sospette neoplasie. Il resto, come impianti o una semplice otturazione lo Stato le passa solo a pazienti “con particolari vulnerabilità sanitarie che rendono indispensabili le cure dentarie o in caso di vulnerabilità sociale”. Questo sempre sulla carta, perché nei pochi ospedali pubblici dove il dentista è di Stato i tempi di attesa sono incompatibili con il dolore che spesso i denti scatenano quando si ammalano. E allora non resta che pagare. Solo che 5 milioni di Italiani non ce la fanno a sostenere i costi e hanno rinunciato alle cure, visto che dal 2018 al 2021 la fetta di chi si è recato dal dentista è scesa dal 50,8% al 40,2%.
Ed è per coprire questo vuoto che l’Andi, l’associazione che raduna i dentisti, ha promosso una vera rivoluzione: la costituzione del primo Fondo integrativo per le cure dentarie non a scopo di lucro e “a capitalizzazione progressiva”. Ossia, come spiega il presidente, Carlo Ghirlanda, “si copre anno dopo anno un numero di prestazioni sempre maggiori a patto che il paziente, a proprie spese, effettui almeno la pulizia dei denti annuale”. Il primo anno si ha diritto al rimborso di un impianto e magari di una carie, il secondo di due e così via. Quello che il Fondo non coprirà sono interventi come la devitalizzazione, “perchè se si arriva a quale punto vuol dire che si è trascurata la prevenzione”, spiega sempre Ghirlanda. Non ci sono limiti di età e il paziente è libero di scegliere il dentista. “Il rapporto tra medico e paziente è diretto, senza l’intermediazione di provider di reti e senza condizionamenti dettati da regole relativamente alle scelte cliniche e agli onorari professionali”. Il costo associativo dovrebbe essere contenuto entro 30-50 euro per il piano base e vengono coperte le spese più importanti. Le tutele crescono con l’anzianità di adesione: il primo anno si comincia con il rimborso di 500 euro per impianto. Poi le tutele crescono con il tempo. È previsto anche un servizio di assistenza a domicilio per le persone fragili che sono destinate nei prossimi anni ad aumentare in maniera esponenziale.
Il Fondo dovrebbe essere operativo già a gennaio del 2025, andando a coprire così non solo la falla del servizio pubblico ma anche quella del modello classico assicurativo, che ha fino ad oggi garantito coperture minimali dinanzi a un rischio considerato dalle compagne troppo alto, visto che secondo le statistiche metà della popolazione si reca da dentista almeno una volta l’anno. Come dire insomma che per chi gestisce polizze e mutue la spesa per i rimborsi è quasi certa, mentre il modello lanciato dall’Associazione dei dentisti essendo a capitalizzazione progressiva dovrebbe ridurre l’esposizione al rischio. Anche perché il bonus assegnato a chi fa prevenzione finirà per ridurre anche il ricorso al dentista.
Il nuovo modello di odontoiatria integrativa dovrebbe inoltre arginare due fenomeni preoccupanti. Il primo è quello dei 15mila dentisti abusivi, che senza nemmeno una laurea fanno concorrenza ai 60mila dentisti veri con prezzi stracciati, ma a rischio e pericolo di chi si accomoda nelle loro poltrone. Il secondo fenomeno è quello del ricorso alle cure low cost “in un solo giorno” nei Paesi dell’Est Europa. Che si trasformano non di rado in un incubo per chi, pensando di risparmiare, si ritrova con la bocca più malmessa di prima, perchè senza una buona preparazione pre-intervento e controlli successivi si rischia di perdere l’impianto come prima si sono persi i denti.
Non da ultimo con il “Fondo Fas” l’Andi punta a fermare il dilagare delle catene odontoiatriche, gestire anziché da dentisti da imprenditori per i quali l’unico imperativo è centrare gli obiettivi di fatturato. Anche a costo di usare il trapano quando non serve.