L’Agenzia delle Entrate chiarisce i termini di cessazione dell’attività professionale

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La risposta ad un interpello fornita dall’Amministrazione Finanziaria riguarda il caso di eredi di un professionista che, successivamente alla chiusura della Partita IVA del defunto, hanno registrato posizioni creditorie ancora aperte.

In merito a tali fattispecie, l’Agenzia delle Entrate precisa come occorra fare riferimento a quanto previsto dalla circolare n. 11/E del 16 febbraio 2007 che aveva chiarito “che l’attività del professionista non si può considerare cessata fino all’esaurimento di tutte le operazioni, ulteriori rispetto all’interruzione delle prestazioni professionali, dirette alla definizione dei rapporti giuridici pendenti e, in particolare, di quelli aventi ad oggetto crediti strettamente connessi alla fase di svolgimento dell’attività professionale”.


Nella risposta, inoltre, vengono richiamate due precedenti risoluzioni della stessa Agenzia, ovvero:

  • la risoluzione n. 232/E del 20 agosto 2009, dove veniva chiarito che la cessazione dell’attività per il professionista non coincide con il momento in cui egli si astiene dal porre in essere le prestazioni professionali, bensì con quello, successivo, in cui chiude i rapporti professionali, fatturando tutte le prestazioni svolte e dismettendo i beni strumentali. Fino al momento in cui il professionista, che non intenda anticipare la fatturazione rispetto al momento di incasso del corrispettivo, non realizza la riscossione dei crediti – la cui esazione sia ritenuta ragionevolmente possibile – l’attività professionale non può ritenersi cessata;
  • la più recente risoluzione n. 34/E del 11 marzo 2019 in cui, confermando l’orientamento precedente, veniva ribadito che in presenza di fatture da incassare o prestazioni da fatturare, gli eredi non possono chiudere la partita IVA del professionista defunto sino a quando non viene incassata l’ultima parcella, salvo il caso, ovviamente, di anticipo della predetta fatturazione.

L’Agenzia, infine, precisa come le considerazioni svolte attraverso i propri documenti di prassi abbiano trovato conferma anche nella giurisprudenza: viene citata, a tal fine, la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 8059 del 21 aprile 2016.

In forza di tali considerazioni l’Agenzia conclude che qualora il de cuius non abbia fatturato la prestazione, l’obbligo si trasferisce agli eredi, in forza del disposto dell’art. 35-bis d.P.R. n. 633 del 1972 che, ovviamente dovranno fatturare la prestazione eseguita dal de cuius non già in nome proprio, ma in nome del de cuius.

Conseguentemente, nel caso in esame, posto che gli eredi avevano già provveduto a chiudere la partita IVA del defunto prima di accertare la reale consistenza dei crediti, viene loro raccomandato di provvedere a richiedere l’apertura della partita IVA del defunto al fine di fatturare i corrispettivi non riscossi sia nei confronti di clienti titolari di partita IVA sia di clienti non soggetti passivi IVA.