Effetto crisi anche sulla cura della bocca: meno italiani dal dentista

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I risultati della III Indagine congiunturale sullo stato della professione odontoiatrica domani alla Fiera Amici di Brugg a Rimini.

Gli italiani stanno trascurando la propria salute della bocca a causa della crisi economica che ha ridotto il potere di acquisto salariale. Ciò ha avuto una ricaduta anche sulla professione odontoiatrica e sull’intero comparto della produzione e della distribuzione.  Anche i dentisti quindi, soffrono la crisi come altri liberi professionisti italiani, con la differenza che per la collettività del Paese formare un odontoiatra od un medico costa molto di più rispetto ad un laureato in Legge, Filosofia, Economia e Commercio, ecc.

Queste in sintesi sono le risultanze della presentazione a Rimini, in occasione della Fiera Amici di Brugg, della III Indagine congiunturale sullo stato della professione odontoiatrica nel nostro Paese, a cura del Servizio Studi dell’Associazione Nazionale Dentisti Italiani che, con oltre 23.000 iscritti su 56.000 esercenti, è la più rappresentativa della professione.

L’evento è stato organizzato unitamente ad Unidi che raggruppa tutte le industrie del settore con la collaborazione di Key-Stone.

Il quadro che ne emerge – afferma il presidente di ANDI, Gianfranco Prada – desta particolare preoccupazione tanto per le centinaia di migliaia di assistenti alla poltrona che trovano occupazione presso gli studi odontoiatrici oltre che per la stabilità di una professione particolarmente costosa, ma anche soprattutto per il rischio di depauperare un patrimonio costruito negli anni con difficoltà dagli italiani che hanno uno stato di salute della bocca tra i migliori al mondo”.

Cercando di riassumere le risultanze della III Indagine congiunturale sullo stato della professione odontoiatrica nel nostro Paese, realizzata tramite un questionario inviato agli iscritti all’Associazione e rispetto al quale si sono riscontrate 5.589 risposte valide e certificate, si può evidenziare quanto segue.

  1. Il 45% dei dentisti ha denunciato un decremento dei ricavi professionali nel 2010 rispetto al 2009 pari alla media del 30% circa. In tal senso le previsioni per il 2011 sono sostanzialmente pessimistiche (46,3%).
  2. Un terzo dei dentisti si dichiara “sottoccupato”, soprattutto i giovani e i più anziani. La ragione è da ricercarsi in una “pazientela numericamente insufficiente” come dimostrato anche dal saldo negativo di 2.500.000 accessi “in meno” rilevato alla studio elaborato da Key-Stone.
  3. Rispetto a  tale scenario gli onorari dei dentisti sono rimasti invariati dal 2008 in poi, con fenomeni addirittura di contrazione degli stessi per cercare di rimanere competitivi e nonostante un incremento dei costi di gestione dello studio. Anche per questo motivo l’indagine messa a punto dalServizio Studi ANDI conferma il dato tendenziale per cui i dentisti sono portati (10%) a concentrare ed ottimizzare la propria attività in un unico studio, alienando quegli studi secondari che, complice la riduzione della domanda, risultano essere improduttivi.
  4. A fronte di questa congiuntura sfavorevole oramai divenuta perdurante, la professione tende a reagire con varie strategie così articolate: il 63,9% dei dentisti punta sulla maggiore efficienza degli studi; il 54,% accresce il capitale professionale investendo nelle proprie capacità; il 43,6% punta a risparmiare sulle spese di studio; il 35,6% ricerca collaborazione con altri studi e si associa con altri dentisti; il 31,9% investe nello studio per aumentare la gamma delle cure praticate; il 17,4% rivede le tariffe; il 16% ricerca collaborazione con l’odontoiatria pubblica.
  5. I dentisti interessati al questionario confermano un atteggiamento indifferente (29,6%) e addirittura negativo (41,4%) rispetto ad un ruolo propulsivo dei fondi sanitari integrativi, così come l’82,6% manifesta una certa preoccupazione per il propagarsi di forme di esercizio professionale supportate da società di capitale, franchising, ecc. Tra le prestazioni (cure) che hanno pesantemente risentito della situazione sopraesposta, il primato tocca alle riabilitazioni protesiche, ma anche l’implantologia fa registrare per la prima volta un significativo decremento.

Ma se questo quadro congiunturale negativo porta a rivedere piani e programmi professionali per il futuro dei dentisti, addirittura comincia a farsi breccia anche una preoccupata rivisitazione dei piani e dei programmi di “vita privata”. In sostanza si insinua l’affanno per un tenore di vita al ribasso rispetto alle abitudini del passato. Se quelle sovraesposte sono le risultanze dell’indagine 2011 promossa da ANDI, per avere un quadro ancora più completo della situazione sono necessarie alcune precisazioni anche di natura politica. Per molteplici fattori appare evidente che più di “crisi professionale” è forse più opportuno annotare un declino del modello professionale, almeno rispetto ai paradigmi del passato.

Tale situazione è dovuta a fenomeni multifattoriali: è più marcata in quelle aree del Paese maggiormente industrializzate e che quindi hanno più di altre risentito della crisi economica con tutto ciò che la stessa ha portato con sé a partire dal ridotto potere di acquisto di quella middle class tradizionalmente afferente allo studio monoprofessionale privato. Quest’ultima valutazione è confermata da “una almeno temporanea tenuta” della professione nei capoluoghi nei quali prevalgono il terziario piuttosto che non zone prettamente rurali. Da segnalare altre zone critiche quali quelle frontaliere, per la concorrenza dei low-cost d’oltre confine. Bisogna prendere atto che “la mutazione professionale in atto” è vissuta con maggior “sofferenza anche psicologica” dei dentisti anagraficamente meno giovani, mentre coloro, soprattutto se non figli d’arte, che si approcciano alla professione in giovane età, si adeguano con maggior facilità e duttilità alla nuova situazione professionale.

D’altro canto l’essenza stessa della professione odontoiatrica non consente “forme di riciclaggio” lavorativo e, per mantenere un tenore di vita adeguato, l’odontoiatra sarà portato a lavorare sempre di più, complice uno stato di sofferenza delle Casse previdenziali, accentuando così un ritardato turnover generazionale. A voler usare una terminologia economicistica, ci si sta velocemente avviando “ad una professione di mantenimento più che di espansione” laddove i soggetti maggiormente “destrutturati”, i giovani in sostanza, più facilmente potranno, anche sotto un profilo psicologico, adeguarsi alla futura odontoiatria.

Gli odontoiatri italiani devono sin d’ora prendere atto con realismo della situazione in essere rispetto alla quale, per poter pensare di poter “continuare a giocare la partita professionale del futuro”, dovranno sempre più “proporsi” in modo innovativo rispetto a quella risorsa fondamentale che è il cittadino-paziente, valorizzando il rapporto fiduciario con lo stesso, investendo nella propria professionalità e nelle proprie infrastrutture.