Fondi Europei e salute: un matrimonio difficile anche con la pandemia

Condividi su:

Sin dal primo programma diffuso mesi fa dall’allora candidata alla Presidenza UE, Ursula Von Der Leyen, il miglioramento della salute compariva tra gli obiettivi del nuovo governo europeo: la sua fomazione medica aveva portato la futura Presidente ad inserire la promessa di un piano europeo contro il cancro in grado di aiutare efficacemente i Paesi UE nel miglioramento degli screening, della diagnosi precoce e della cura dei tumori.

La obbligatoria definizione del Multiannual Financial Framework (MFF , in italiano “Quadro Finanziario Pluriennale”), cioè il bilancio di previsione della UE per il periodo 2021-2027, è stata poi ovviamente influenzata dalle conseguenze economiche e sanitarie della pandemia Covid-19, ma non completamente nella direzione che il mondo dei professionisti della salute avrebbe desiderato. Altrettanto si può dire per il “Next Generation EU” Recovery Fund che costituisce l’intervento straordinario deciso proprio per contrastare gli effetti della pandemia sull’economia europea.

Sarebbe difficile e forse anche superfluo entrare nei meccanismi tecnici dei cosiddetti Recovery Funds che hanno riempito le pagine dei quotidiani, ma è necessario capire fino a che punto gli aiuti europei potranno impattare la qualità della salute generale e, ovviamente anche orale, di tutti i cittadini.

Nei mesi passati il mondo politico e la società civile in tutti i Paesi UE ha chiesto a gran voce investimenti cospicui per la salute, la ricerca e tutte le attività connesse al contenimento della pandemia.

A fronte dell’annuncio da parte della Commissione di un investimento in questi settori pari a 9,4 miliardi di euro (in particolare per strutture e aumento del personale medico e paramedico), le logoranti negoziazioni tra le diverse “anime” dell’UE (l’opposizione dei cosiddetti “paesi frugali” in primis) hanno portato a pesanti tagli che hanno riguardato anche la salute, facendo scendere a 1,7 miliardi i possibili investimenti, l’82% in meno di quanto considerato indispensabile.

Anche la speranza che questo taglio nel budget “ordinario” 2021-2027 venisse in gran parte compensato da 8 miliardi inseriti nel Recovery Fund, alla cui base sta proprio una crisi sanitaria, è stata cancellata. Alla fine delle trattative sono rimasti solo 3 miliardi in uno specifico programma chiamato “RescEU” finalizzato principalmente ad aumentare le scorte di materiale e attrezzature mediche.

Per dare un’idea della sproporzione tra gli investimenti decisi nel campo della salute e gli stanziamenti totali, il QFP ammonta a 1.074,3 miliardi e “Next Generation EU” a 750 miliardi, sui quali i 4,7 miliardi citati prima pesano per un infinitesimo 0,25%.

E’ una decisione che riflette la palese volontà politica della maggior parte dei Governi di dare priorità ad altro, dimostrando che è molto facile, e soprattutto privo di conseguenze economiche, applaudire e ringraziare coloro che hanno rischiato la vita sul campo per combattere la pandemia, salvo poi dimenticare rapidamente che occorre investire per tempo sulla formazione e il supporto della forza lavoro sanitaria.

Non tutto sembra però perduto: il Parlamento Europeo, in maggioranza insoddisfatto delle conclusioni delle negoziazioni dei Governi nel Consiglio Europeo ha deliberato il 23 luglio scorso di non concedere la propria approvazione al QFP fino a quando non sarà raggiunto un accordo soddisfacente nei prossimi negoziati tra il Parlamento e il Consiglio, ricordando che le conclusioni del Consiglio europeo sul QFP rappresentano soltanto un accordo politico tra i capi di Stato e di governo e che il Parlamento non è disposto ad avallare formalmente una decisione già presa. I negoziati, sotto la presidenza di turno della Germania dovrebbero cominciare nella seconda metà di Agosto con l’obiettivo di rendere operativi sia i recovery funds che i programmi settoriali del QFP entro la fine dell’anno.

La speranza, alimentata dalle dichiarazioni degli europarlamentari particolarmente critiche proprio per i tagli sulla salute, è che venga rivista la ripartizione dei fondi in origine, anche se rimane la possibilità che i singoli Stati Membri, Italia in testa, investano a livello nazionale significative somme ricavate dai recovery funds per il miglioramento dei sistemi sanitari.

Il Council of European Dentists, insieme alle altre organizzazioni europee delle professioni sanitarie, è pronto ad intervenire, come già nel recente passato, per ribadire la necessità di sostenere finanziariamente le priorità della salute orale e delle attività di prevenzione correlate, nell’ottica di ridurre le grandi diseguaglianze nell’accesso alle cure che ancora sono presenti in molti Paesi UE.
Sempre sul versante economico ma al di fuori delle istituzioni della UE, registriamo la nomina di Mario Monti alla presidenza di una commissione europea istituita dall’OMS per la salute e lo sviluppo sostenibile, con l’obiettivo di “ripensare le priorità relative alle politiche da attuare alla luce della pandemia”, studiando come i sistemi sanitari dei paesi europei hanno risposto alla crisi e dando raccomandazioni sugli investimenti e riforme necessarie per migliorare la resilienza dei sistemi sanitari e di assistenza sociale
Il ruolo dell’OMS nella gestione di questa pandemia è stato da più parti criticato per motivi anche molto diversi, dalla tempestività dell’informazione alla presunta sudditanza nei confronti di alcuni Paesi, Cina in primis.
Non siamo in grado di addentrarci in valutazioni critiche generali sull’OMS, ma rimanendo nel nostro ambito professionale, certamente non possiamo non mostrare delle forti perplessità sul testo diffuso dalla stessa organizzazione mondiale il 3 agosto scorso contenente “Considerazioni per l’erogazione di servizi odontoiatrici essenziali nel contesto del COVID-19.
Soprattutto per noi europei, italiani in particolare e ancor di più per chi scrive, avendo vissuto in prima persona la responsabilità della gestione dell’odontoiatria nelle prime zone rosse a partire dal 21 febbraio scorso, appare certamente “fuori sincronia” un elenco di buone pratiche e raccomandazioni che noi abbiamo faticosamente elaborato e applicato da più di cinque mesi.
Ancor di più suona quasi offensivo sottolineare il rischio elevato di contagio nella pratica odontoiatrica, quando i dati statistici, non solo italiani ma provenienti da molti paesi europei, confermano il numero prossimo allo zero dei contagi di origine professionale tra gli operatori odontoiatrici.
Partendo da una pressochè inesistente letteratura scientifica sul COVID-19 in odontoiatria che ha consigliato atteggiamenti molto prudenti nei primi tempi della pandemia, cominciano ad affiorare i primi dubbi sulla evidenza scientifica anche delle famigerate “AGP” (aerosol generating procedures) in odontoiatria, per non parlare dei livelli di protezione garantiti dai filtranti facciali tipo FFP2 comparati con le più diffuse mascherine chirurgiche.
Non è questo il luogo opportuno per approfondire queste valutazioni, ma occorre rilevare come le prescrizioni dell’OMS siano tenute in grande considerazione dai legislatori nazionali e, dunque, una maggiore prudenza nel rilasciare documenti sarebbe opportuna
Ci auguriamo che Mario Monti e la sua Commissione abbiano miglior fortuna nel fornire le necessarie indicazioni per i sistemi sanitari europei.

Marco Landi
Presidente Council of European Dentists