Dai nuovi bisogni del paziente alla rimodulazione della professione.”Sei dentro o fuori dal tuo tempo?” è il tema del quarto workshop di Economia in Odontoiatria che si svolge stamani, 12 maggio 2012, a Cernobbio (Como), nella splendida cornice di Villa d’Este, per iniziativa di ANDI (Associazione Nazionale Dentisti Italiani), la maggiore (con oltre 23 mila soci) e più autorevole associazione di odontoiatri italiani. Al centro del convegno, moderato dal giornalista Rai Franco di Mare, il sondaggio del professor Renato Mannheimer su La percezione del dentista da parte della popolazione e i nuovi bisogni emergenti. Seguono gli interventi di Vittorio Sgarbi, critico d’arte, politico e opinionista (Il valore del sorriso come veicolo di positività dall’arte alla contemporaneità) e la tavola rotonda su Quale professione odontoiatrica richiede il paziente e quali le sfide da affrontare per il dentista?” con Gianfranco Prada, presidente di ANDI, Enrico Gherlone, membro del Consiglio Superiore di Sanità e presidente eletto del Collegio docenti di Odontoiatria, Paolo Gualandi, rappresentante di Coswell, Roberto Callioni, coordinatore Servizio studi ANDI, Sgarbi e Mennheimer. Nel pomeriggio sono in programma le relazioni di Aldo Piperno (Vantaggi e svantaggi dell’evoluzione dal modello di studio monoprofessionale a quello societario) e Alessandra Mazzei (Come ottimizzare il rapporto e gestire le percezioni del paziente nello studio odontoiatrico).
Dal sondaggio effettuato dal professor Mannheimer su di un campione rappresentativo degli italiani emergono cinque aspetti.
1) Il dentista “è” medico di fiducia. Sono infatti nove su dieci (93%) gli italiani che ripongono la loro fiducia nel medico dentista e quasi sei su dieci (56%) dicono di averne molta. Il dentista è considerato al pari del “medico di base” (o di famiglia). Infatti il dentista e il medico di base hanno, nella popolazione, un voto di 7,6 come fiducia media, di contro a un 7,5 dei medici specialisti. Queste sono le uniche professioni per cui la maggioranza degli italiani ha sempre espresso una forte fiducia (hanno detto di fidarsi nell’ordine il 93%, 90% e 93% degli italiani). All’opposto le professioni di giornalista e di manager sono le uniche a contare un voto medio (da 1 a 10) inferiore alla sufficienza seppur di poco (5,9), mentre avvocati (6), notai (6,3) e magistrati (6,4) appena sopra la media. Il dentista ed il medico di base raccolgono i voti più alti (7,6 di media).
“Il sondaggio conferma che gli italiani si fidano del proprio dentista libero professionista – commenta Gianfranco Prada, presidente nazionale di ANDI –considerandolo al pari del medico di famiglia. Italiani che si fidano del dentista se possono avere con lui un rapporto diretto bocciando nettamente le grosse strutture ed il turismo odontoiatrico. Ma è anche la fiducia nella libera professione in sanità, di cui i dentisti italiani e quelli ANDI in particolare sono uno degli ultimi baluardi rimasti, ad uscirne rafforzata considerata come garanzia di serietà e qualità”. Altissima è la fiducia verso l’odontoiatra che svolge la sua attività in uno studio privato italiano (89%). Ciò è dimostrato anche dal fatto che in otto casi su dieci (82%) gli italiani si rivolgono sempre allo stesso dentista.
2) Migliora l’attenzione verso la prevenzione ma non basta. Gli italiani continuano a sottovalutare la prevenzione orale anche se questa consentirebbe di evitare cure ed interventi complessi e quindi più costosi. Meno di sei italiani su dieci (57%) dichiarano di essere andati l’ultima volta del dentista meno di un anno fa e solo il 33% negli ultimi sei mesi (lasso di tempo consigliato per una corretta prevenzione). Indagando sulle singole motivazioni sottese all’ultima visita – sottolinea la ricerca – è possibile affermare che la visita di controllo (21%) sia un importante motivo del consulto (la prevenzione che, grazie anche all’impegno di ANDI, sta entrando nelle abitudini degli italiani), ma la visita per interventi ad hoc sui singoli denti (otturazioni, carie, estrazioni, ecc.) è leggermente superiore (29%) ed indica come si sottovaluti ancora il rischio che, andando dal dentista solo quando si ha un problema, questo possa compromettere la salute orale.
3) Prevale l’aspetto curativo ma viene considerato anche quello estetico. Otto italiani su dieci ricorrerebbero subito al dentista per un’otturazione (75%) e cinque su dieci per un impianto o una dentiera (51%) e per l’apparecchio (46%). Solo un intervistato su dieci rinuncerebbe a questi tre interventi. Dall’analisi emerge che sei italiani su dieci (58%) hanno un alto indice di forte propensione verso l’aspetto curativo e tre su dieci molto alto (34%). Rispetto all’ambito medico-estetico, due italiani su dieci ricorrerebbero subito al dentista per un filler (19%) e per uno sbiancamento (15%), mentre uno su dieci lo farebbe per le faccette ceramiche (11%). Al contrario tre su dieci dichiarano che non spenderebbero mai soldi per questi tre interventi. Dal sondaggio emerge dunque che la metà della popolazione (51%) ha un indice estetico basso, un quarto (25%) alto e un altro quarto (24%) nullo: è ovvio che influiscono su questi dati la crisi economica e la ridotta capacità di spesa per cure non strettamente necessarie. E infatti, incrociando i due indici (aspetto curativo e aspetto estetico), si evince che due italiani su dieci (22%) esprimono una forte propensione verso tutti gli interventi, ma quasi quattro su dieci (36%) solo verso l’aspetto curativo (appena il 3% presta attenzione “unicamente” all’estetica).
4) Lo studio privato è il preferito. Se nove italiani su dieci hanno più fiducia verso il dentista che opera in uno studio privato italiano, non sorprende che otto su dieci (81%) si rivolgono, in esclusiva o quasi sempre, ad uno studio privato in Italia. L’abitudine/fiducia nel proprio dentista appare il motivo principale per cui gli italiani si rivolgono al dentista di uno studio privato (82%), il secondo motivo è la vicinanza/comodità (23%), il terzo è quello di riuscire a prendere facilmente un appuntamento (15%) e solo al quarto posto l’aspetto economico (13%) a confermare come gli italiani giudichino corretto il rapporto qualità prezzo delle prestazioni odontoiatriche. ”Analizzando la propensione a recarsi nei diversi luoghi di offerta di cure mediche – spiega Mannheimer – è possibile stimare in 28 milioni gli italiani maggiorenni che si rivolgono o si rivolgerebbero esclusivamente ad uno studio dentistico privato e, tra questi, 16 milioni non hanno mai considerato e non prenderebbero mai in considerazione altre strutture. Questi numeri conferiscono allo studio dentistico privato un forte primato nella cura dentistica in Italia”.
5) Bocciate le alternative allo studio privato italiano, sfiducia verso i “negozi”, il low-cost ed il turismo odontoiatrico. Ad oggi l’unica alternativa che gli italiani considerebbero al dentista privato, nonostante le gravi carenze in merito, sembra essere quella pubblica, ovvero il Sistema Sanitario Nazionale. Quasi quattro italiani su dieci dichiarano di essersi rivolti all’Asl almeno una volta (37%) e un quarto del campione (24%) afferma che, pur non avendo mai scelto questa opzione, potrebbe farlo in futuro. Ad affermare di essersi rivolti ad uno studio odontoiatrico in franchising (quello ricavato nei negozi su strada o in un centro commerciale) è appena il 5% della popolazione, percentuale che però sale al 20% tra coloro che potrebbero considerare questa ipotesi. Pochi (4%) anche gli italiani che si sono curati almeno una volta all’estero, a conferma che il cosiddetto “turismo odontoiatrico” si è già esaurito (ammesso che, con l’eccezione delle nostre regioni orientali di confine, abbia davvero riscosso successo). Ma a indicare l’inefficacia delle cure effettuate all’estero è il dato che indica come più della metà di coloro che si sono rivolti da dentisti all’estero hanno dichiarano che non lo rifarebbero. A prendere in considerazione lo studio estero è poco più di un italiano su dieci (15%). A dirsi per nulla interessati alle cure fuori i confini, sia in studio che in negozio, sono invece rispettivamente otto (81%) italiani su dieci. Infine le agenzie di viaggio specializzate in “turismo dentale” sono poco apprezzate: solo uno su dieci (11%) le prenderebbe in considerazione.