Si è conclusa nei giorni scorsi a Torino la tre giorni congressuale che ha visto impegnati i delegati dei 23 mila soci di ANDI (Associazione Nazionale Dentisti Italiani) nel determinare la rotta che l’Associazione dovrà tenere nei prossimi anni. “Comprendere il presente, costruire il futuro – Quale modello assistenziale per l’odontoiatria privata”: questo il titolo del congresso dal quale emerge una Associazione coesa intorno ad un progetto importante, che punta a dare un futuro all’attuale modello di gestione dello studio odontoiatrico incentrato sul dentista libero professionista, modello apprezzato dal paziente ma in sofferenza a causa di una legislazione che lo penalizza e dalla concorrenza delle grosse strutture sanitarie che puntano sul business piuttosto che sulla qualità delle cure.
“Abbiamo voluto che il documento congressuale rappresentasse le tante realtà della nostra professione e non trascurasse i reali bisogni dei soci – ha dichiarato il presidente nazionale Gianfranco Prada – per questo la scelta di coinvolgere nell’elaborazione direttamente la base associativa”. Il documento congressuale, approvato dall’87% dei delegati (315 i favorevoli, 34 i contrari, 13 gli astenuti), si sviluppa su due direttrici principali: quella interna alla professione (l’Associazione a sostegno dell’esercizio professionale) e quella verso i cittadini per incanalare l’attrazione dei pazienti verso la qualità delle prestazioni offerte dallo studio odontoiatrico del dentista ANDI.
Sul fronte interno ANDI, già punto di riferimento per la professione odontoiatrica, vede come unico modello di esercizio della professione, che possa garantire la salute del cittadino, quello libero professionale, ma intende monitorare sul territorio l’evoluzione degli altri modelli di esercizio per poter adattare le sue azioni. Attenzione quindi verso le nuove forme di esercizio professionale, ma anche verso tutti i modelli di aggregazione di pazienti a partire dai fondi e convenzioni. Dal documento congressuale, infatti, emerge, per la prima volta, la chiara volontà di utilizzare anche questi strumenti per dare ulteriori opportunità agli studi dei dentisti ANDI, con ribadito un netto no al convenzionamento diretto e un chiaro sì a tutte quelle forme che prevedano come valore fondante la libera scelta del curante da parte dei cittadini e l’applicazione di un libero onorario professionale. ANDI sosterrà i propri soci nell’esercizio della professione aiutando a sburocratizzare lo studio, a formare il dentista in modo da renderlo competitivo nel rapporto con il proprio paziente dal punto di vista del marketing e degli aspetti organizzativi, aspetti dove lo studio mono professionale, oggi, segna il passo rispetto alle grosse strutture. Saranno attivate anche campagne informative rivolte al grande pubblico che facciano comprendere al paziente come le prestazioni odontoiatriche non sono un bene di consumo ma un atto medico, consentendogli di effettuare le proprie scelte secondo criteri non solo meramente economici.
Per dare un futuro alla professione ANDI potenzierà quel patto generazionale già più volte sottoscritto adoperandosi per sostenere e tutelare l’ingresso nel mondo del lavoro dei neolaureati, creando chiari contratti di collaborazione/lavoro ad hoc che favoriscano l’inserimento negli studi privati e li tutelino dalle collaborazioni spesso poco remunerative proposte dai services o dai franchising. ANDI continuerà la collaborazione con le università italiane per preparare gli studenti all’ingresso nel mondo del lavoro.
Parte centrale dell’attività sarà l’azione politica sindacale forte dei determinanti risultati raggiunti in questi ultimi anni. Un’azione finalizzata al rispetto della centralità del ruolo dell’odontoiatra nella gestione della prevenzione, visita, diagnosi e trattamento di tutte le affezioni del cavo orale, da espletarsi a tutti i livelli: europea, nazionale e regionale. Azione sindacale che non dovrà abbassare la guardia sui temi da sempre seguiti come la lotta contro l’esercizio abusivo della professione, l’aumento della detraibilità fiscale delle parcelle emesse, l’impegno nella gestione degli strumenti fiscali applicati alla categoria (studi di settore e redditometro) e ricercare la defiscalizzazione delle spese per i dispositivi di protezione.